via Capo di Lucca luoghi e angoli di Bologna.

Nella culla antica di Bologna, Capo di Lucca, conosciuta affettuosamente come “Cui di Lucca”, è una via che si snoda lungo l’acqua, tra il canale di Reno e il fiume Aposa, come un racconto d’altri tempi. Inizia modesta tra le Moline, antichi mulini che cantano canzoni di fatica, e si perde tra le mura della città, abbracciata dalle porte di Galliera e della Mascarella.

Un tempo chiamata “via delle Agocchie”, il suo nome ha danzato nel tempo come foglie al vento, ma sempre ha portato con sé storie e segreti.

La sua lunghezza è misurata in pertiche, 148 per essere precisi, e la sua superficie si estende per 17, 32, 6 pertiche. Non è seliciata, ma con il suo asfalto di storia, è solcata da passi di generazioni che hanno camminato su queste pietre antiche.

Una volta, fu chiamata “via delle Case Nuove” per le abitazioni uniformi costruite dai creditori delle moline e delle moliture, un rifugio per monaci e servitori dell’università delle Moline. Questa strada, insieme ad altre, faceva parte dell’antico campo del Mercato, una terra feconda di storie, come la via Imperiale, Berlina, Gini, Maddalena, Borgo S. Giuseppe e Casette di S. Benedetto.

Nel 1263 o 1264, quando i Carmelitani giunsero a Bologna, scelsero questa strada, che corre tra le Moline e il canale, fino alle Agocchie, un luogo dove ora si ergono file di case tutte uguali. Ma forse, allora, non c’era una chiesa, solo un modesto “Locum Carmelitanorum” nei documenti d’epoca. Nel 1293, lasciarono questo luogo per trasferirsi a S. Martino dell’Avesa, cedendo il testimone alle suore Benedettine.

Le Benedettine, arrivate da Venezia nel 1250 a S. Nicolò di Carpineta, al di là della porta Strada Maggiore alle Caselle, erano sotto l’ala protettrice dell’abate di S. Nicolò di Leo di Venezia, con le loro vesti curate da un delegato dell’abate stesso. In questo reclusorio, noto come S. Nicolò del Mercato presso i mulini della città, le monache Benedettine ricevettero l’eredità di Bartolomea Principi, la vedova Boschetti, che scrisse testamento il 7 giugno 1301, come atto notarile di Giacomo Dalle Torri.

Il 30 agosto 1306, il dottor Pace, figlio di Ridolfo, fece una generosa donazione: 90 chiusi di terreno e case, situate nei pressi di S. Martino dell’Avesa, vicino al canale delle Moline, e altre case nello stesso luogo, come registrato nell’atto di notarile di Amadore Bresa e Gio. Ventura.

Ma il 1306 fu anche l’anno in cui l’Avesa causò danni considerevoli alla casa e alla chiesa di S. Nicolò di Carpineta, e al vicino Borgo di S. Pietro, dal lato occidentale. In risposta, il Senato allargò l’alveo del torrente, dal ponte presso il serraglio fino al ponte della Circla. Così, sul lato occidentale del torrente, lungo il canale delle Moline, il terreno si aprì in una striscia di sei piedi di larghezza in fondo, ventiquattro piedi in sommità e otto piedi di profondità.

Con il convento ormai in rovina, le monache decisero di abbandonarlo e ottennero il permesso di unirsi, il 30 aprile 1332, alle suore di S. Guglielmo alla porta della Mascarella, come testimoniano gli atti di Egidio dei Guerrini.

Nel 1516, il 16 giugno, la Camera di Bologna fece una donazione ai creditori delle moliture, concedendo un terreno vacuo tra l’Avesa e il canale di Reno, sopra il Mercato. La donazione misurava quindici pertiche di lunghezza, accanto al muro costruito dai creditori, che si estendeva per venticinque pertiche, vicino all’Avesa. Nonostante questo gesto, la strada circostante rimase ampia, con ventinove piedi di larghezza.

Nel 1549, il 27 aprile, un muratore milanese di nome Matteo Scala, figlio di Bartolomeo, acquistò una pezza di terreno, nota come vicolo vacuo, situata tra le case dei capi delle moliture a nord, le case della B. V. della Mascarella a sud e l’acquedotto Avesa a est. L’Ornato gli concesse il suolo pubblico per costruire una casa, contribuendo così a plasmare il volto di questa affascinante strada.

Così, Capo di Lucca, Cui di Lucca, o come vogliate chiamarla, continua a tessere la sua storia, una via che ha visto il fluire dei secoli, le storie di chi l’ha percorsa e i segreti custoditi nei suoi antichi mattoni. Una strada che collega il passato al presente, tra le mura e i vicoli di Bologna, sospesa nel tempo come un’opera d’arte viva.

Francesco Indello

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