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Le vetrate del Palazzo dei Capitani della Montagna

Il Palazzo dei Capitani della Montagna è un luogo intriso di storia e cultura, situato nel cuore di Vergato. La sua sala del Consiglio, con le sue ampie finestrature adornate da vetrate artistiche, rappresenta un vero gioiello di arte e architettura. Queste vetrate, create dall’illustre artista vergatese Luigi Ontani, trasformano la sala in un microcosmo di luci e colori che trasmettono un profondo significato simbolico ed evocativo.

Le quattro vetrate sono il risultato di un’alta decorazione, una forma di arte applicata ornamentale che unisce creatività, originalità e un’incredibile capacità di suscitare meraviglia. Esse fungono da catalizzatori per il pregio architettonico e culturale del palazzo, contribuendo a elevare ulteriormente la sua importanza nella storia della città.

Ogni vetrata raffigura uno dei quattro Capitani della Montagna, legati tra loro attraverso intrecci mitologici. Queste rappresentazioni evocano il ciclo della vita umana e le quattro età, oltre a cogliere il variare delle stagioni attraverso la mutazione dei fiori, dei frutti e dei colori. Inoltre, i quattro elementi naturali – Acqua, Fuoco, Terra e Aria – sono anch’essi integrati nell’opera, contribuendo a creare un’immagine complessa e ricca di significato.

È interessante notare che alcune parti di queste vetrate sono in realtà rielaborazioni di stemmi araldici presenti nel Palazzo Comunale. Questi stemmi richiamano l’araldica degli scudi di pietra di Montovolo, simboleggiando i Capitani della Storia e la loro eredità nella regione. Questa fusione tra arte contemporanea e tradizione storica crea un’opera unica e intramontabile che incanta e ispira chiunque abbia il privilegio di ammirarla. Il Palazzo dei Capitani della Montagna si conferma così non solo come un luogo di importanza politica e amministrativa, ma anche come un autentico tesoro culturale e artistico per la comunità di Vergato e per il mondo intero.

Primatys
In una terra avvolta dalla magia della primavera, esisteva un essere straordinario chiamato Primatys, un bambino intarsiato d’Acqua. La sua storia era un canto alla bellezza della stagione della rinascita, un racconto tessuto con simboli e allegorie che celebravano la forza vitale della natura.

Il corpo di Primatys era una fusione di elementi naturali e significati profondi. Una delle sue membra era la coda di un tritone, una creatura marina leggendaria, che si estendeva fino a terminare in una foglia di ontano. Questa straordinaria rappresentazione simboleggiava la connessione di Primatys con il mondo acquatico e la vitalità che l’acqua portava alla terra.

La testa di Primatys era adornata con mughetti e narcisi, fiori che erano emblemi di purezza e innocenza, ma anche promesse di speranza per il futuro. Dal suo ombelico spuntava un iris, un giglio spontaneo, simboleggiando la vita che nasceva e si trasmetteva, testimoniando la crescita e la perpetuità della vita stessa.

Nella parte posteriore di Primatys, alla sua base, si trovava un uovo, di un verde fresco, simbolo tanto della vita quanto della località di Montovolo. Questo uovo rappresentava la rinascita e la fertilità, e in esso erano incise le speranze e i desideri della comunità.

Sui lati superiori del suo corpo, erano raffigurati un sole e una luna limpidi, sorgenti all’orizzonte. Questi simboli rappresentavano il ciclo naturale del giorno e della notte, ma anche la luce che portava alla crescita rigogliosa delle piante.

Al centro di questo splendido mosaico, era posizionato lo stendardo di Vergato, simbolo dell’importanza della comunità e dell’unità nella celebrazione della primavera.

Uno sfondo di gigli araldici in un campo azzurro incorniciava la figura di Primatys, rappresentando la purezza, l’innocenza e la speranza, tutti concetti centrali nella stagione primaverile.

Nel lato sinistro di Primatys, un tralcio univa il croco al fiore di loto, simboleggiando la bellezza nascente che si trasformava in un amore eterno. Mentre a destra, un altro tralcio si trasformava da fiore di acacia in primule, rappresentando la crescita e la trasformazione costante della natura.

Sopra di lui, lo stemma Bovio veniva rielaborato e sormontato dal toro, che si trasformava nel segno zodiacale del Toro, simbolo di forza e perseveranza.

Nella lunetta superiore a destra, lo stemma Renghiera era decorato con genziane, mentre lo stemma Marsili era ornato con viole mammole, creando un contrasto affascinante tra le diverse immagini.

Al centro, in basso, uno scudo Ranuzzi, arricchito da stelle, un sole e un elemento d’acqua, era sorretto da un’altra coppia di gemelli, che rappresentavano l’armonia e l’equilibrio.

Al culmine della composizione, un serpente che si morde la coda formava il simbolo dell’infinita continuità della vita, sorretto da rondini, stereotipi classici della primavera e della rinascita.

E dietro a tutto ciò, s’innalzava un ramo d’alloro, pianta destinata ai trionfi e alle glorie, a simboleggiare la vittoria della vita sulla morte.

La storia di Primatys era un inno alla bellezza e alla vitalità della primavera, un tributo alla rinascita della natura dopo il gelido inverno e un richiamo all’eterno ciclo della vita. La sua figura intarsiata d’acqua era un simbolo di fertilità e rinascita, che continuava a ispirare e incantare coloro che ascoltavano questa leggenda. Una celebrazione della vita stessa, intessuta con la magia della primavera.

Estasio
In una terra dove la stagione estiva regnava sovrana, esisteva un giovane adolescente chiamato Estasio, il cui abbigliamento multicolore rifletteva l’energia e la vitalità dell’estate stessa. La sua figura era un mosaico di simboli che celebravano l’essenza di questa stagione effervescente.

Estasio aveva una coda leonina, simbolo della forza e della vitalità della giovinezza e dell’estate. Il suo dito alzato, fiammeggiante, rappresentava l’elemento fuoco, il calore ardente che avvolgeva il periodo estivo. I suoi capelli erano biondi come le spighe di grano, un omaggio alla generosità della natura in questa stagione, e un orecchio era ornato con ciliegie, frutti succulenti che rappresentavano la dolcezza dell’estate.

Il corpetto di Estasio era composto da penne di pavone, un simbolo della vanità, dell’orgoglio, dell’ambizione e della prodigalità tipiche della giovinezza. Montovolo, rappresentato come un uovo, aveva il colore caldo e dorato di una calda giornata di agosto, con un papavero al centro e un altro all’apice, simboleggiando la vitalità e la passione dell’estate. Lo sfondo era punteggiato da papaveri su un campo azzurro intenso, evocando la profonda serenità dell’estate.

Il solleone e la luna piena erano richiamati, segnando l’apice della stagione estiva. Due tralci laterali rappresentavano l’infanzia e la maturità, con frutti che si trasformavano in fiori: albicocca e ginestra a sinistra, pesca e ibisco a destra.

Nella parte superiore a sinistra, lo scudo Montecalvi rappresentava il segno della Vergine e il Liocorno, richiamando la continuità della vita. A destra, lo stemma Bargellini raffigurava il segno zodiacale preminente dell’estate: un Leone rampante con la bocca di fuoco.

Questo simbolo era ripetuto anche nelle tre figure che componevano la lunetta superiore centrale, unendo due stemmi misteriosi in una rappresentazione unica, dove la palma era sostituita da un ramo di ontano.

Nella stessa lunetta, a sinistra, uno scudetto con stelle (Guidotti) e a destra, uno stemma con un dragone di Fuoco (Aldrovandi). La Canicola, legata all’ardore dell’estate e derivante dalla parola “canis” (cane), era rappresentata da un levriero rosso che si intrecciava con i rosolacci (Sampieri).

La storia di Estasio era un tributo all’estate, una stagione di vitalità, passione e crescita. La sua figura era un mosaico di simboli che catturavano la bellezza e l’essenza dell’estate stessa, un momento di splendore nella danza eterna delle stagioni.

Terralnus

In un mondo dove la storia si intrecciava con la simbologia degli elementi naturali, c’era un terzo Capitano chiamato Terralnus, il cui nome univa “Terra” e “Alnus”, il latino per l’ontano, un albero simbolico della terra stessa. Terralnus era un cavaliere maturo e sicuro di sé, con una spada davanti a sé, la cui elsa era il simbolo dell’Infinito, ripetuto nei decori delle maniche e della corazza.

Una delle gambe di Terralnus terminava con uno zoccolo, simile a quello di un cavallo o di un fauno, rappresentando una figura che apparteneva al mondo dei boschi e della terra. Questo richiamava il segno zodiacale del Sagittario, il cacciatore e l’arciere.

Il suo elmo scendeva per circondare il viso, decorato con grappoli d’uva, un segno della fertilità della terra. Una foglia di ontano fungeva da giustacuore, un simbolo di connessione con la natura.

Nel cielo sopra di lui, il sole al tramonto e la luna calante segnavano la fine del giorno, in un cielo blu manganese. Montovolo, l’uovo, aveva il colore della terra bruciata e dei boschi autunnali, e ciclamini, fiori tipicamente autunnali, rappresentavano lo stemma araldico.

Ai lati, c’erano tralci con sola frutta, simbolo della maturità: a sinistra c’era un melo e un fico, a destra una pera e una castagna. Questi erano sormontati rispettivamente dal segno della Bilancia nello stemma Ghisilieri, rappresentante il mese di ottobre, e da uno stemma con un cervo-Sagittario (Calderini).

Nella lunetta superiore, da sinistra a destra, si trovava una torre araldica (Carati o Cattani); al centro, in alto, un’eburnea torre sulla montagna, circondata dalle canne palustri dei fiumi locali (stemma Cattani); e a destra, uno scudo, un elmo e un cigno bianco (Manzoli), circondati da foglie di quercia.

Al centro, in basso, c’era un’altra rielaborazione della montagna (Paleotti), nei colori tipici dell’autunno. Montagne e torri erano elementi centrali in questa composizione, richiamando sia la solidità dell’età sia la materialità dell’elemento Terra.

La figura di Terralnus incarnava la forza della terra e la maturità dell’autunno, un capitano che simboleggiava la stabilità e la saggezza di chi ha vissuto molte stagioni. La sua armatura e i suoi simboli erano un tributo all’infinita bellezza della natura e alla sua eterna ciclicità.

Ariorio

Nel mondo di questo affascinante racconto, incontriamo l’ultimo dei Capitani, Ariorio, un nome composto da “Aria” e “Gregorio”, che richiama l’ispirazione di San Gregorio. La sua figura è imponente ma riflette una distanza dalla lotta della vita. Egli è seduto di profilo, sembra contemplare la vita trascorsa, e il suo sguardo si fissa sull’occhio pineale, il “terzo occhio” della mente, simboleggiando la saggezza.

Ariorio tiene tra le mani un libro, un simbolo della cultura e della conoscenza, mentre il suo piede-artiglio di grifone rappresenta l’anima, indicando una profonda connessione tra la spiritualità e la mente.

L’Uovo-Montovolo è diventato una tiara, conferendo a questo Capitano ulteriore autorevolezza. Dal suo cappello spunta l’agrifoglio, simbolo di previdenza e augurio per il rinnovarsi della vita.

Un’ala richiama l’elemento Aria, mentre un pallido sole e una luna nuova ricordano l’Inverno e l’aspettativa del ripetersi delle stagioni.

Sullo sfondo, ghiande simboleggiano l’antichità, su un campo blu di Prussia. Al centro, lo stemma di Vergato riafferma la continuità del ciclo.

In basso a sinistra, un tralcio con melagrana, simbolo di magnanimità, e noce, rappresentante innocenza e virtù. Sopra di esso, l’Uovo a scacchi dell’araldica dei Pepoli.

Dall’altro lato, l’elleboro, simbolo di distacco dalla realtà quotidiana, diventa vischio, una pianta benaugurante della tradizione locale.

Sopra, lo stemma Sampieri con aquila e libro. Nella lunetta superiore, a sinistra, gli elefanti dello stemma Fantuzzi sono anche la divinità orientale Ganesha, protettore della cultura.

In alto, al centro, un’aquila-Giano con foglie di quercia, simboleggiando lealtà e perseveranza, e foglie di ontano dallo stemma Malvezzi. A destra, il segno del Capricorno (Bolognini).

La lunetta centrale, in basso, è formata da un’aquila (Marsili), le cui ali si trasformano in foglie di quercia che si dispongono a segno dell’Infinito, ricollegandosi, in un gioco di rimandi, all’Infinito della prima vetrata, e quindi all’infinito rinnovarsi della vita.

La figura di Ariorio incarna la saggezza, la cultura e la contemplazione della vita. I suoi simboli e le allegorie rappresentate intorno a lui richiamano alla mente l’eterno ciclo della vita e l’importanza della conoscenza e della previdenza. Questo Capitano conclude il racconto delle stagioni, portando con sé il messaggio dell’infinita rinascita della vita.

Francesco Indello

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